Raffaella Bonsignori

Il mio ricordo di Gigi Sabani

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Il mio ricordo di Gigi Sabani

Raffaella Bonsignori
Pubblicato da Raffaella Bonsignori in Altro · Mercoledì 04 Set 2024
Il 4 settembre del 2007 moriva improvvisamente Gigi Sabani, noto showman ed imitatore della televisione italiana. Un infarto che, per chi l’ha conosciuto bene, affonda le radici nel suo profondo, profondo dolore di dieci anni prima. E, scrivendo il mio ricordo di lui, è proprio quello il momento che voglio rievocare, perché oggi è facile parlare della sua bravura, del suo sorriso, della sua personalità brillante, ma allora, dieci anni prima della sua scomparsa, le pagine dei giornali non avevano parole belle per Gigi e l’abbandono di tutti lo devastò.
18 giugno 1996: per ordine di un procuratore di Biella, Gigi Sabani venne arrestato per induzione alla prostituzione. Un reato particolarmente infamante. L'accusa pesò su Sabani come un macigno. 13 giorni di custodia cautelare in carcere ed un calvario di un anno di indagini durante il quale perse i migliori contatti lavorativi, perse amicizie, perse l’immagine della dignità agli occhi del pubblico.
II suo volto sorridente e luminoso si affacciava dai giornali accanto ad articoli orribili. La sua famiglia si strinse attorno a lui con tutto l'affetto di cui era capace, un affetto immenso, protettivo, meraviglioso, situato nell'unico posto in cui può trovarsi quando e autentico e sincero, nel cuore. Anche gli amici veri gli restarono accanto. Ma la vicenda lo sovrastava. Più forte era la sua consapevolezza di innocenza e più il fuoco dell’ingiustizia ardeva sulla sua pelle. E i lapilli raggiunsero la sorella, la madre, il figlio, perché neanche loro vennero risparmiati dal ciclone mediatico. Vogliamo immaginare, ad esempio, che impatto emotivo può aver suscitato una simile notizia nel figlio allora adolescente, il quale, quotidianamente, doveva affrontare quello che i suoi amici, i suoi compagni di scuola, i suoi professori leggevano del padre?
Conoscevo Gigi; eravamo amici. Ricordo che, ai primi degli anni Novanta, quando arrivava nell'ufficio di management che lo aveva in scuderia mi telefonava imitando la voce di un mio amico che lavorava lì:
«Ciao, sono Roberto»
E la voce di Roberto, quello vero, in sottofondo:
«Non dargli retta; è Gigi, è Gigi!»
In realtà, tutta la mia famiglia gli era amica e non abbiamo mai smesso d'esserlo, ecco perché sento che posso raccontare il suo dolore. Io l’ho visto nei suoi occhi.
Nella foto è con mia madre, nel 1989, davanti al negozio di abbigliamento che lei aveva allora,con papà, proprio di fronte alla sede RAI. Quando Gigi era in zona, andava immancabilmente a trovarli e restava ore a chiacchierare con lei e con mio padre. Era un uomo molto elegante ed amava le cravatte: ne comprava in continuazione. Si può dire che lui più di tutti noi conosceva quelle che erano in negozio. In più di un’occasione si improvvisò “commesso”, consigliando la clientela. Non si è mai dato le arie da divo. Mai. Era una persona semplici, per bene.
Lo vidi disintegrarsi sotto quelle accuse. Certo, ferveva, in lui, la forza della verità calpestata, tradita. derisa, dimenticata; la forza della disperazione tradotta nel desiderio di affermare la propria estraneità a quei fatti, ma le energie dell'innocenza venivano, comunque, fiaccate, giorno dopo giorno, dall'incomprensione altrui, come sarebbe stato per chiunque.
II giornalismo giudiziario italiano ruotava attorno alla sua presunta colpevolezza e non era lasciato spazio alcuno al suo desiderio, comprensibile ed autentico, di urlare al mondo la propria innocenza: spazi per lui, sui giornali e nei programmi TV, tanti; spazi per la ricerca della verità pochi, quasi nessuno. Lui era il “mostro” da sbattere in prima pagina.
II carosello impazzito delle accuse, delle ipotizzate condotte, degli inesistenti eventi che avevano innescato la gogna mediatica per Gigi terminarono nel febbraio 1997 con l'archiviazione della notizia di reato, rivelatasi infondata. Sabani non era stato neppure processato, ma per un anno aveva subito la peggiore delle condanne!
Ricordo un giorno, alla fine di tutto il calvario, lo incontrai in un bar e lui mi disse:
«Raffae’, ho scoperto che vuol dire p.m. Pezzo di m…»
In quella battuta c’era tutto il suo dolore.
Gli fu concessa una modesta riparazione per l'ingiusta detenzione. Nessun risarcimento, invece, dai giornalisti che si erano riempiti le tasche sfruttando il suo volto e la sua notorietà; dipingendo il mostro; sguazzando dentro una storia torbida inventata per sete di facile fama; esponendo un uomo e tutta la sua famiglia ad un dolore inenarrabile per quella costruzione accusatoria tirata su anche grazie al contributo narrativo di una “supertestimone”, in realtà sua ex fidanzata poi diventata moglie del pubblico ministero indagante (sic!).
Del resto, non c'è spazio per il raggiungimento di un titolo risarcitorio, a quanto pare. Quando le notizie arrivano dalla Procura della Repubblica, non richiedono ulteriore conferma di veridicità e presuppongono la buona fede del giornalista, recita la Cassazione: «La cronaca giudiziaria è lecita quando venga esercita correttamente, limitandosi a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sé, ovvero a riferire o commentate l'attività investigativa o giurisdizionale» (sentenza n. 54496/2018, ultima di una pletora di pronunzie conformi).
Anzi, è stato persino detto che, in nome dello scoop, si può sacrificare la verifica della notizia: «In tema di diffamazione a mezzo stampa, il concetto di cronaca presuppone la immediatezza della notizia e la tempestività dell'informazione, così che l'esigenza della velocità può comportare un sacrificio, in nome dell'interesse della notizia, dell'accuratezza della verifica, della sua verità, della bontà della fonte» (Cass. sentenza n. 8042/05, fortunatamente ribaltata dalla sentenza n. 13941/15).
Intanto chi capita sotto l’attenzione morbosa dei media ne esce distrutto.
La buona reputazione, scriveva Shakespeare nell’Otello è un monile inestimabile: chi ruba dei soldi, non ottiene tutto, ma solo qualcosa, impinguando la propria borsa fin tanto che quell'effimera ricchezza non finisca, lecitamente o illecitamente, nelle mani di un altro; ma chi offende l’onore altrui commette il furto più abietto, poiché rende miserabile la vittima senza diventare ricco.
L'uomo contemporaneo, tuttavia, si è dimostrato più fantasioso di quanto il drammaturgo inglese potesse immaginare, tanto che è riuscito, comunque, ad inventarsi un modo per fare soldi anche con la sottrazione dell'onore altrui, ideando la "gogna mediatica" come forma per incrementare la tiratura di un giornale o l'audience televisiva o, ancora, gli accessi pubblicitari in un blog internet!
L'efficace immagine descritta nell’Otello, però, sebbene elisa di una parte, l'inesistente arricchimento, permane in tutta la sua prepotente efficacia e attualità, poiché, per riduzione eidetica, dell'abietto furto shakespeariano resta l'essenza, ossia il senso del depauperamento profondo, della sottrazione di un bene insostituibile, che misura l'offesa originata dalla lesione all'integrità morale dell'individuo.
Ecco, dunque, che accanto al protagonista della vicenda oggetto dell'attenzione mediatica, ossia il mostro nella notizia, si affianca un altro mostro, quello della notizia: il giornalista, il direttore del giornale, il vice-direttore, l'editore, lo stampatore, colui che, riottosamente ignorando il naturale diritto alla riservatezza di ogni persona coinvolta in situazioni problematiche, o, peggio, di quella sub iudice, s’impossessa della sua vicenda, della sua vita privata, persino della sua famiglia, dando il tutto in pasto ad un pubblico famelico dei problemi altrui.
II cittadino "globalizzato" è sotto stretta sorveglianza.
II ruolo che nel Medioevo aveva Dio, sotto il cui occhio onnisciente riposava la vita di ogni individuo, oggi e stato usurpato dall'Uomo Tecnologico e dalle deduzioni giornalistiche costruttrici di verità parallele. In un simile contesto il Giudizio Universale e stato vilmente parcellizzato in innumerevoli giudizi terreni, imbrigliati nelle più disparate reti di controllo. Dall'uomo di Michelangelo, 1'uomo dall’anima vestita di corpo, in attesa di una parola di Dio che gli consenta di resuscitare e che gli eviti di bruciare in eterno tra le fiamme infernali, siamo arrivati all’uomo-cittadino di oggi: testa bassa, spalle ricurve sotto il peso dell'occhio elettronico e del giudizio mediatico; impossibilitato a reagire, incapace di uscire dalla spirale di verità fittizie che gli si attaccano addosso, lo imprigionano, lo soffocano.
Gigi era pulito ed è ciò che è emerso in sede giudiziaria, ma il fango che gli è stato gettato addosso in quei mesi di indagine lo ha soffocato. È bene ricordarlo.

© Articolo e foto di Raffaella Bonsignori
[in Osservatorio del Processo Penale, Anno II, n.1, gen.-feb. 2008]


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