Walter Chiari: ricordo di un artista
Pubblicato da Raffaella Bonsignori in Teatro · Mercoledì 08 Mar 2023
Walter Michele Armando Annicchiarico, noto a tutti noi come Walter Chiari, nasce l’8 marzo 1924. Un attore completo. Rivista, teatro di prosa, cinema, televisione.
Ha l’aria tipica da “ragazzo della porta accanto”: simpatico, burlone, scavezzacollo. Mi piace parlarne spesso con Benvenuto Campanini, figlio del compianto Carlo, grande attore e compagno di palcoscenico di Walter. Carlo, ai tempi del sodalizio artistico con Walter, è sposato, fervente cattolico, marito e padre esemplare e cerca spesso di portare Walter, molto più giovane di lui, a ragionare su alcune cose, ad affrontare la vita posando i guantoni da boxe in un angolo, guantoni pieni anche di azzardi, donne, idee. Ma il carattere è carattere.
Nasce in pieno fascismo. Il fratello minore avrà per nome Benito. Umili le origini. Una famiglia di gente per bene e di seri lavoratori: il papà è un brigadiere dei Carabinieri e la mamma una maestra elementare. È difficile, però, contenere il suo genio nei confini di una vita semplice. La sua personalità è vulcanica e le sue doti innate davvero ammirevoli: una padronanza linguistica senza pari, grande versatilità nell’imitazione dialettale, predisposizione all’attività fisica (tra gli sport praticati, anche il mio amato pugilato, che lo vede campione regionale nel ‘39). Si dedica a molti lavori, anche magazziniere all’Isotta Fraschini, impiegato di banca, giornalista, ma non riesce a trovare la sua vera strada fino ad una sera del 1940. È al teatro Olimpia di Milano. Il comico ha un malore e la soubrette invita qualcuno del pubblico a salire sul palco per colmare il vuoto. Propone una gara tra gli spettatori. Walter viene mandato sul palco allo sbaraglio, sospinto da alcuni amici. Ha 15 anni e mezzo e la cosa segnerà la sua vita. Deve improvvisare. Lo fa con una gag che resterà nel suo repertorio, quella del balbuziente che ordina una granita di caffè, in ciò ispirato dal Betèga, l’amico balbuziente che lo aveva incoraggiato ad esibirsi. Gli applausi sono scroscianti. Tornerà in quel teatro tutte le sere per i mesi seguenti, scritturato dall’impresario per 50 lire a rappresentazione. La locandina titola “Un quarto d’ora libero”. Ha finalmente trovato la sua strada. Il 1940, però, è un anno di cesura non solo per la sua vita, segnando l’inizio della sua carriera nello spettacolo, ma per l’Italia intera, perché inizia la guerra.
Walter porta a termine gli studi e, dopo l’8 settembre 1943, aderisce alla RSI, militando nella Xa Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese, insieme a quei tanti ragazzi che, si narra, si riunirono attorno a Borghese esclamando «Vinceremo!» e ai quali Borghese rispose: «No, non vinceremo. La guerra è ormai persa. Non combattiamo per vincere, ma per l’onore».
Collabora anche al settimanale L'Orizzonte come autore di vignette umoristiche e, con Ugo Tognazzi, parla ai microfoni di Radio Fante, l’emittente milanese per le truppe della RSI.
La sua appartenenza alla RSI gli costa il durissimo campo di prigionia di Coltano (PI).
L’adesione alla Decima non era cosa di poco conto. Si prestava giuramento del silenzio: ciò che accadeva alla Xa rimaneva alla Xa. Gli altri marò erano fratelli. Totale affidamento. Ho seguito con molto pathos l’intervista ad alcuni di loro realizzata quando erano ormai vecchi. Narravano le imprese note, ma a domande sui progetti irrealizzati rispondevano con orgoglioso silenzio. Rendevano ancora una volta onore al loro giuramento. Chi è della Xa, lo è per sempre. È questo che mi pare di aver capito. Walter Chiari, dunque, serberà sempre la Xa nel cuore. Si narra, infatti, che dopo i suoi spettacoli teatrali, salutasse «Gli amici della prima fila. E anche quelli della decima».
Il dopoguerra ha visto molti ex repubblichini eccellere nel mondo dello spettacolo: alcuni, come Dario Fo, rinnegando completamente il passato, altri, come Giorgio Albertazzi, Raimondo Vianello, Ugo Tognazzi, Walter Chiari e molti altri, proseguendo per la propria strada, senza abiure e senza proclami, almeno fino al momento in cui, con il passare degli anni e il rafforzamento di una certa politica nelle fila della Comunicazione e dello Spettacolo, non si rese necessario “spiegare” di non essere più fascisti. A Walter accade nel corso della stagione teatrale 1974-1975. È in scena con “Chiari di Luna”. Un successo strepitoso. Al teatro Nuovo di Milano, nella notte di S. Silvestro, si registra un sold out storico con più di mille biglietti venduti ed un incasso allora stratosferico di 13.000.000 di lire. Ebbene, una delle sue tantissime esilaranti battute di quello spettacolo diventa il fulcro di una polemica molto aspra. La battuta è la seguente:
«Quando hanno appeso Mussolini per i piedi, a Piazzale Loreto, dalle sue tasche non è uscito nemmeno un centesimo. Mentre certi onorevoli di oggi non possono neanche inchinarsi a fare il baciamano ad una signora che subito gli esce dalle maniche come minimo la Cassa del Mezzogiorno».
L’Inferno sale sulla terra per bussare alla sua porta. Walter deve mediare con varie associazioni politiche, dichiarare di non essere fascista e promettere di togliere la battuta. Ma la battuta torna poco dopo, a Torino, perché Walter ritiene ingiusto che gli si debba dire come fare il suo lavoro di comico. La battuta funziona e resta. D’altronde, non dimentichiamo che, durante gli anni del fascismo, proprio al teatro Olimpia, in cui debuttò da perfetto sconosciuto, aveva inscenato la sua storica imitazione di Hitler alla presenza di alcuni alti ufficiali tedeschi. Non gli era accaduto nulla, ma il rischio l’aveva corso grosso. Raimondo Vianello, nel documentario “Meglio esser Chiari” disse che l’imitazione avrebbe potuto scatenare indifferentemente l’ovazione o la fucilazione. E questo la dice lunga sul carattere indomito di Walter.
Impossibile enumerare in un breve articolo tutti i suoi successi dal dopo-guerra agli anni Ottanta. Una stella sempre brillante, la sua, con un misterioso e affascinante alone di mondanità, di bellissime donne, di gesti sopra le righe.
Gli anni della Prima Repubblica, però, sono guardinghi verso vite non allineate. Mai come oggi, ma comunque guardinghi. Non si può dire, dunque, che il suo passato non lo penalizzi. Come per gli altri artisti ex fascisti, solo l’enorme bravura impedisce l’oblio e deve ingoiare anche qualche rospo. Ne cito uno per tutti. Venezia. Festival del Cinema edizione 1986. Il premio viene assegnato a Walter per la sua toccante interpretazione in “Romance” di Mazzucco. Tuttavia, a premio assegnato, il quadro muta assetto e il premio va a Carlo Delle Piane per “Regalo di Natale” di Pupi Avati. Non che Delle Piane non fosse meritevole del premio. Interpretazione fantastica, la sua. Ma le modalità lasciano stupiti e colpiscono Walter nel profondo. Al momento della proclamazione persino i fotografi posano le macchine a terra per protesta, come ricorda Luca Barbareschi. Il Corriere della Sera, tramite la sua firma Grazzini, pubblica il seguente giudizio: «Vittoria artistica di Walter Chiari. Vittoria politica di De Mita e Pupi Avati».
La metà degli anni Ottanta non è facile anche per un’altra vicenda: le falsità di un pentito, lo stesso che aveva coinvolto Enzo Tortora, vedono coinvolti in un traffico di droga alcuni nomi del mondo dello spettacolo, tra i quali Walter, facendo leva sul processo di quindici anni prima per consumo (consumo episodico e non spaccio) di cocaina. Il pentitismo è agli inizi ed è chiaro che il solo sistema per screditarlo, da parte delle organizzazioni criminali, è mandare avanti propri uomini che cinguettino cose senza senso. L’idea è quella di far crollare il sistema. Purtroppo, però, fanno crollare anche le vite di tante persone innocenti.
In quello stesso anno, accanto a successi teatrali importanti, porta in RAI la propria biografia in sette puntate, “Storia di un altro italiano”, con la regia di Tatti Sanguineti.
È alla fine degli anni Ottanta che anche io lo incontro più volte, perché ci ritroviamo a frequentare lo stesso stabilimento balneare a Lido di Castel Fusano, La Casetta. Lo ricordo simpatico e generosissimo con tutti noi ragazzi, impegnati ad invadere i suoi spazi, accucciandoci accanto alla sua sdraio per ascoltare storie, gag, barzellette …
Muore il 20 dicembre 1991. È nella stanza dell’hotel milanese in cui alloggia, davanti alla televisione accesa, ancora vestito con l’abito della serata appena trascorsa fuori.
Il giorno dopo Aldo Grasso scriverà sul Corriere della Sera: «Si muore in tanti modi, ma morire davanti al televisore acceso è da Walter Chiari».
Una vita senza sipario, in effetti.
© di Raffaella Bonsignori
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© Foto per gentile concessione di Simone Annichiarico