Dietro la maschera della Liberazione
Parole da ascoltare
Questa è la storia di Jolanda e di Marcella. Per un 25 aprile nascosto che merita un angolo di luce.
Jolanda Spiz nasce a Graz, in Austria, nel 1922. I genitori sono emigrati lì tempo prima dalla friulana Paularo, ridente cittadina alpina.
In Austria a cercar lavoro.
Nel frattempo, seguono con attenzione l’avvento del fascismo. Il socialismo mussoliniano piace molto, in famiglia, e alcuni di loro faranno di tutto per rientrare in Italia.
Marcella Batacchi, invece, è del 1927 ed è nata a Firenze, in via dell’Agnolo, così denominata in onore di S. Michele Arcangelo, colui che, spada in pugno, trionfa su Satana. La via in cui abita deve averle trasmesso il coraggio di combattere per ciò in cui crede, perché, poco prima dell’ingresso degli alleati a Firenze, abbandona la sua casa per raggiungere le zone in cui ancora è attiva la Repubblica Sociale di Mussolini e si arruola nel Servizio Ausiliario Femminile, il SAF. Crede fermamente nel fascismo. È minuta, apparentemente fragile, i suoi 18 anni sembrano 15, ma il carattere è titanico e titanica è la sua fede in Dio e nella Madonna. Cerca di ricevere la Comunione ogni giorno, se possibile, e le sue preghiere le fanno da scudo, le donano il sorriso di fronte ai fatti più crudi che la guerra, purtroppo, elargisce sempre con immonda generosità.
Nonostante la tragedia delle due guerre in cui è stretta l’Italia, quella contro i nemici stranieri e quella fratricida accesa in Patria tra italiani e italiani, lei assolve i suoi compiti di ausiliaria con fiducia nel Signore e nella sua Madre Celeste. Non imbraccia, certo, armi da fuoco. Svolge compiti di massaia, di infermiera; accudisce con amore chi ne ha bisogno.
Anche Jolanda si arruola nel SAF. Raggiunta a Varese la sorella maggiore, Etta, si stabilisce lì negli anni Quaranta e dopo l’8 settembre 1943 sceglie di arruolarsi. Interprete e infermiera.
Sia Jolanda, sia Marcella, poco più che adolescenti, si prendono cura dei soldati, li aiutano nei momenti di sofferenza. Sono piccoli angeli.
In una lettera indirizzata ad un’altra sua sorella, rimasta a Graz con il resto della famiglia, Jolanda scrive:
«Ho raggiunto il mio sogno. Lavoro e do tutta me stessa per la nostra idea, per la salvezza dell’Italia.
[…] Il mio pensiero è tutto concentrato nel lavoro, duro, responsabile, ma infinitamente soddisfacente. Invece, a tarda sera, quando rientro in caserma e mi butto stanca morta sulla branda, allora, a occhi aperti, ricordo i tempi passati. Penso alla nostra mamma adorata e a tutti voi. Vi penso con tanta nostalgia. Di voi serbo tanti dolci ricordi. E vi sento vicini».
Jolanda e Marcella sono di stanza al Distretto Militare di Cuneo.
Poco dopo il 25 aprile la colonna cuneese, che consta, ormai, di una ventina di militari e nove ausiliarie, deve abbandonare la città, ma viene fermata nei pressi di Biella da un gruppo di partigiani. Si sa bene cosa spesso viene fatto alle donne, in questi casi, persino a quelle che hanno anche solo amato un fascista. Venire rapate a zero con coltellacci che scorticano in parte il cuoio capelluto è il meno che possa accadere loro. Per le due ausiliarie l’unica via di salvezza è professarsi prostitute al seguito dei soldati, in modo da non seguirli nella morte. Ma esistono tanti tipi di morte. C’è quella del corpo, ma c’è anche quella dell’anima, chiamata a sopportare l’insopportabile, e quella della mente chiamata a dimenticare l’indimenticabile.
I partigiani propongono alle ausiliarie di fare sesso con tutti loro per avere salva la vita. Le più grandi chiudono gli occhi, ingoiano l’inferno e, con l’anima in fiamme, cedono al vile ricatto. Alcune rimarranno incinte; e tutte, tutte diranno, poi, che la morte sarebbe stata meglio.
Jolanda ha 23 anni ancora non compiuti; Marcella ne ha solo 18. Non ce la fanno a morire nell’anima, non ce la fanno ad immaginare la loro vita trascorsa a tentare di cancellare l’orrore dalla mente. E, poi, non vogliono mentire su ciò che sono. “S. Giovanni non vuole inganni”, è così che è stato insegnato loro dalla religione cattolica. “S. Giovanni non vuole inganni”. E, dunque, dicono d’essere ciò che sono. Ausiliarie, sì!
Gli eroi usualmente si riconoscono tra di loro e si rispettano, quand’anche schierati in fazioni opposte. Se ne avessero avuto almeno uno, di fronte, uno, forse non sarebbero morte.
Invece la reazione dei partigiani è feroce.
Iniziano a toccarle ovunque, deridendole, offendendole, umiliandole.
«Fiere di essere ausiliarie, eh? Dite di non essere prostitute. Bene, allora ci penseremo noi. Noi sapremo insegnarvi come fare le prostitute. Come diventarlo. Del resto siete ausiliarie: già siete le prostitute dei fascisti».
Poi arrivano i primi pugni, i primi calci.
«Non fatelo, vi prego, vi prego».
Vi prego.
Ma le preghiere sono per i santi e per gli eroi, non per i demoni.
Cercano di violentarle, ma Jolanda e Marcella si difendono come leonesse a calci, a pugni, a morsi. La loro fierezza indispettisce le bestie del branco assetato di vendette facili. E la situazione si fa via via peggiore.
Vengono costrette a spogliarsi e a salire su un carro agricolo: nude, rapate a zero, sporche, violate nel corpo e nell’anima e con la mente che pulsa e grida silenziosa. Grida di rabbia, non di paura, anche se la paura le avvolge. È un fuoco dentro che brucia quanto quello delle ferite che quegli “eroi” stanno infliggendo loro. Eroi. Il carro fa il giro del paese e, lungo tutto il tragitto, Jolanda e Marcella vengono esposte, toccate, malmenate, offerte come prostitute a chi guarda, tra risate sguaiate.
Vengono torturate!
Ore e ore di agonia e di maledetto terrore fino agli spari. Colpi che raggiungono quei corpi inermi, quella pelle sporca di sangue e di terra, di lividi; una pelle che era stata bianca, pura come il giglio con cui Jolanda si era fatta fotografare poco tempo prima, una foto da allegare alla lettera per la sorella; una pelle che era stata bianca come quella di Marcella, casta ed eroica fanciulla che, al pari di Santa Maria Goretti, non cedette alla sporcizia del ricatto di uomini senza Dio.
Ta-ta-ta-ta-tan! Il rumore degli spari è l’ultima cosa che sentono.
Ora sono solo due corpi martoriati che vengono gettati in una fossa comune, insieme a tanti altri corpi di uomini, di donne, di bambini, tutti “colpevoli” … Colpevoli … di essere stati fascisti, di aver abbracciato un’ideologia, di aver creduto nel socialismo delle masse, o anche solo di aver conosciuto un fascista, di averlo amato come figlio, come nipote, come marito; colpevoli di essere stati generati da un fascista. Anche i bambini, sì. Colpevoli. Colpevoli d’essere nati.
Pochi libri di storia conoscono i nomi di Iolanda Spiz, di Marcella Batacchi e delle altre vittime della liberazione. Alcuni storici si sono presi la briga di raccogliere la testimonianza di chi era presente, parenti, gente del paese, persino partigiani pentiti. Ma sono libri a lungo messi all’Indice. E le vittime restano solo nomi e cognomi sconosciuti ai più.
Oggi siamo capaci solo di parlare della liberazione come se fosse un monumento di Flatlandia: piatto, senza tridimensionalità, senza facce nascoste.
Mentre di facce nascoste ce ne sono eccome.
Oggi siamo capaci solo di parlare dei morti per mano fascista. Come se ce ne fossero di serie A e di serie B, in quello sporco affare che è la guerra. Come se uccidere fosse un crimine per alcuni e un atto di eroismo per altri.
Finché non ricorderemo anche le migliaia e migliaia di morti per mano degli alleati o dei partigiani: gente inerme, donne incinte, preti, bambini, infoibati … finché non sapremo parlare di tutti i crimini compiuti e non solo di alcuni offenderemo la Storia e gli uomini, le donne che ne fanno parte. Ma soprattutto resteremo indegni, profondamente indegni di festeggiare qualsivoglia ricorrenza.
© di Raffaella Bonsignori
[Tutela certificata – autore S.I.A.E. – 25.04.2024]
Per saperne di più sulle uccisioni dei partigiani:
Giorgio Almirante - Carlo Borsani jr, Carlo Borsani, Ciarrapico Ed., Roma, 1979
Roberto Beretta, Storia dei preti uccisi dai partigiani, Piemme, Casale Monferrato, 2005
Nidia Cernecca, Foibe. Io accuso, Controcorrente, Napoli, 2002
Marco Cesselli, Porzus. Due volti della Resistenza, Ed. La Pietra, Milano, 1975
Emiliano Ciotti, Le marocchinate, YoCanPrint
Comitato 10 febbraio (a cura di), Norma Cossetto. Rosa d’Italia, Eclettica, Massa, 2021
Giampaolo Pansa, Il sangue dei vinti, Sperling & Kupfer, Milano, 2003
Giampaolo Pansa, Sconosciuto 1945, Sperling & Kupfer, Milano, 2005
Giampaolo Pansa, I gendarmi della memoria, Sperling & Kupfer, Milano, 2007
Giampaolo Pansa, I vinti non dimenticano. Crimini ignorati della nostra guerra civile, Rizzoli, Milano, 2010
Giampaolo Pansa, Bella ciao. Controstoria della Resistenza, Rizzoli, Milano, 2014
Giampaolo Pansa, La repubblichina. Memorie di una ragazza fascista (romanzo storico), Rizzoli, Milano, 2018
Giorgio Pisanò, Sangue chiama sangue, Pidola, Milano, 1962
Giorgio Pisanò, Storia della guerra civile in Italia, voll. 1-10, Ed. speciale per Il Giornale, 1997
Giorgio Pisanò – Paolo Pisanò, Il triangolo della morte. La politica della strage in Emilia durante e dopo la guerra civile, Mursia, Milano, 1992
Antonio Serena, Oderzo 1945. Storia di una strage, Sentinella d'Italia, Monfalcone, 1984
Carlo Simiani, I giustiziati fascisti dell’aprile 1945, Omnia, Milano, 1949
Gianfranco Stella, Compagno mitra, Full Print, Ravenna, 2018
Franco C. Turco, Il nonno racconta. Quel lontano aprile del 1945, Istituto Superiore Eretum, Monterotondo, 1985
Anna Vescovi, Il padre ritrovato, Outsphera, Sandrigo, 2018
Ernesto Zucconi, Il rovescio della medaglia. Crimini dei vincitori, Novantico, Pinerolo, 2004